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“Vorrebbe dei figli?”: la discriminazione contro le donne ai colloqui di lavoro. La domanda però è ILLEGALE

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“Vuole avere dei figli?”, questa la domanda che persiste ancora in moltissimi ambienti di lavoro, prova tangibile di come la lotta per i diritti delle donne e la discriminazione sia sempre in corsa, e uno stop in un immediato futuro forse non ci sarà. Nel mercato del lavoro in particolar modo, già vi avevamo parlato delle diverse discriminazioni a cui incorrono le donne una volta diventate lavoratrici, di come i posti manageriali siano sempre meno per loro rispetto agli uomini. Fermo restando che un bambino verrà partorito da una donna, perché la stessa domanda a uomini sposati non viene posta durante i colloqui di lavoro?
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Cosa dice la legge?


Addirittura quasi 4 donne su 10 sentono rivolgersi questa domanda durante un colloquio di lavoro, ci teniamo inoltre a precisare che tale domanda è difatti anche illegale. Infatti, l’articolo 27 del Codice della Pari Opportunità tra uomo e donna – Dlgs 198/2006, dell’art. 6 della legge 28 novembre 2005, n.246, esplica che “durante un colloquio di lavoro non si possono mai chiedere informazioni sul proprio stato matrimoniale, sulla presenza o meno di figli in famiglia, sulla volontà di averne”.


Peccato che molte aziende forse non abbiano capito queste parole scritte nero su bianco in un italiano più che corretto. Anche Il Messaggero in questi giorni ha parlato di tale argomento. Inoltre proprio le donne durante queste domande che potremmo definire “scomode” faticano a trovare una via d’uscita. Se dovessero rispondere positivamente allora il loro destino potrebbe essere segnato e venire scartate dalla posizione lavorativa, se dovessero rispondere in modo negativo potrebbero pensare che lo facciano solo per compiacere le Risorse Umane.
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Quali sono le domande illegali durante il colloquio?

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Quindi come rispondere, come reagire quando ci si trova in un colloquio di lavoro davanti a questa domanda sui figli? Il modo migliore sarebbe prepararsi o inventarsi già una risposta sagace, spostando l’attenzione su una battuta così da “sviare” la domanda posta. Sfortunatamente la domanda sui figli non è l’unica illegale che viene posta soltanto alle donne, troviamo infatti anche “E’ single, sposata o si trova in una relazione?”, quando lo status sentimentale non dovrebbe avere nulla a che fare con il lavoro.


“Quanti figli ha?”, “Per mantenere i suoi figli chiede aiuto a qualcuno?”, “Se lei fosse a lavoro ci sarebbe qualcuno ad occuparsi dei suoi figli?”, “Pensa di volere una famiglia?”. Una discriminazione ignobile, come se il desiderio di avere una famiglia debba per forza ostacolare le proprie ambizioni lavorative, il proprio impegno sul posto di lavoro. Ben 4 donne manager su 10 come abbiamo già detto sentono in continuazione questa domanda. Chiedere se si vogliono avere figli dovrebbe essere solo un interesse personale e privato. Il dividere la vita privata dal lavoro non deve essere solo un modo di dire usato a proprio piacimento o in determinate circostanze, al momento del colloquio di lavoro dovrebbe essere tassativo secondo la legge. Ma allora perché continuano ad accadere tali episodi? Perché alle aziende o chi che sia viene ancora permesso ciò?
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Cosa si intende Career Gap Stigma?


Se nemmeno il Codice della Pari Opportunità riesce a fermare tale discriminazione si fa fatica a pensare cosa effettivamente potrebbe funzionare. Questa forma di discriminazione è conosciuta ad oggi con il nome di “Career Gap Stigma”. Non solo ti viene chiesto “vuoi avere dei figli”, ma ci si aspetta che venga anche giustificato quel periodo inteso come “vuoto di carriera” o “career break” che potrebbe essere riconducibile ovviamente ad una maternità (domanda ancora peggiore visto che secondo l’Equality Act è passabile per denuncia per discriminazione e molestie).

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Due terzi delle mamme lavoratrici hanno rinunciato alla loro carriera dopo la maternità. Il sondaggio di cui vi abbiamo svelato prima i dati è stato condotto da “People Management” prendendo ad esempio 2000 persone. In tal proposito è intervenuta anche Laura Tolosi, Communication Manager di Eudaimon che afferma: “La nostra mission è quella di supportare le aziende che vogliono creare un ambiente inclusivo e positivo dove il singolo possa esprimere il suo potenziale a prescindere dal genere. La maternità e come la gestisce il datore di lavoro rappresenta un importante momento di verifica di come e se l’azienda stia riuscendo a centrare l’obiettivo.”
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Richiesta del lavoro flessibile


Se parliamo di donne che sono già madri pensiamo che secondo un sondaggio condotto da Careering into Motherhood su mamme lavoratrici è emerso che solo 4 mamme su 10 non chiedono lavoro flessibile (proseguendo però alle volte il lavoro tornate a casa). Il 46% pensa che chiederlo possa poi danneggiare il loro posto di lavoro. Assurdo pensare inoltre che spesso tale discriminazione venga fatta addirittura dalle donne stesse. A tal proposito ricordiamo quando lo scorso anno l’imprenditrice Elisabetta Franchi è stata ovviamente oggetto di aspre critiche dall’opinione pubblica. Durante il convegno “Donne Moda” che era stato organizzato da Il Foglio e PWX Italia aveva ammesso di preferire gli uomini per posizioni dirigenziali. Se avesse dovuto scegliere una donna ne avrebbe scelto sicuramente “anta”. Capiamo bene da quest’ultima affermazione che si riferisce a donne oltre i 40 anni che hanno già avuto figli e che sanno già “gestire” in modo consono vita privata e famiglia.

Le conseguenze della domanda


La domanda “Vuoi avere figli?” porta nelle donne durante i colloqui di lavoro delle conseguenze sicuramente negative. Prima di tutto ci troviamo come già detto davanti ad una discriminazione diretta, rischiando di essere scartate dalla posizione lavorativa senza una vera motivazione. Inoltre il posto di lavoro diventa forse l’ambiente meno sicuro proprio per le donne. Qui non possono sentirsi a loro agio, tutelate e devono quasi nascondere le proprie decisioni familiari.


Questa violazione dei diritti delle donne deve essere contrastata con mezzi ancora più forti. Le aziende o chi per loro non teme sicuramente ripercussioni sapendo di porre una domanda illegale. L’ambiente lavorativo per ogni donna dovrebbe diventare un posto equo, dove esiste un giusto equilibrio tra i generi.