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“Nelle sentenze c’è sessismo”, la violenza contro le donne in Italia non ha giustizia

sessismo nelle sentenze violenza contro le donne

L’avvocata penalista Elena Biaggioni, vicepresidente D.i.Re – Donne in Rete contro violenza è più che certa di quello che dichiara, ovvero che in Italia nelle sentenze sui casi di violenza contro le donne c’è ancora troppo sessismo. Lo dimostrano le ultime vicende, gli ultimi casi di molestie e violenze che vengono quasi giustificati dai giudici stessi. Per le donne in Italia non c’è giustizia e questo è tremendo da dire perché ovviamente vedendo quello che accade nel nostro paese nessuna donna sarà più spronata a denunciare.
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“E’ una questione culturale”

L’avvocata Elena Biaggioni lancia un chiaro messaggio con le ultime dichiarazioni rilasciate a Vanity Fair, che vanno dritto al punto e colpiscono in pieno. “Non sono sempre uomini i giudici in sentenze come quelle che fanno discutere in questi giorni” e la cosa peggiore è che nel dirlo non c’è stupore. Si riferisce alla sentenza assurda dove è stato assolto il bidello, l’ergastolo negato a Davide Fontana per il brutale omicidio di Carol Maltesi, giustificando quasi l’omicidio con “lei era disinibita, lui troppo innamorato”.

Non posso sapere cosa hanno pensato i giudici in questi casi, ma è evidentemente una questione culturale. L’Italia è stata condannata per sessismo in una sentenza, caso J.L. contro Italia. La Corte Europea ha motivato la condanna in quel caso parlando proprio di sessismo nelle parolequesto l’esempio che riporta l’avvocata Biaggioni.

Come si suole dire “dobbiamo sempre farci riconoscere”, alle volte è innegabile messa al pari di altri Paesi anche dell’Unione Europea l’Italia su troppi fronti sembra essere rimasta ancora indietro, tremendamente ancorata a vecchi concetti patriarcali. Ritorna quindi la conosciuta “cultura dello stupro”, “una incapacità culturale, a riconoscere le situazioni in cui avviene la violenza, la tendenza a minimizzare”.
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Sentenze che sono sconfitte

Le sentenze, che sono pari a sconfitte dolorose, di queste settimane rappresentano un motivo “valido” per non denunciare, per non esporsi e non rischiare. Se una donna non si sente tutelata e sicura allora deciderà di non denunciare, perché sa che non avrà giustizia. “Non è sempre un problema di applicazione della legge, ma una difficoltà a leggere all’interno del contesto giudiziario la violenza sessuale. Solo la Cassazione già ritiene gli atti sessuali senza consenso come violenza”.

Quello che avviene è un’inversione della responsabilità, cosa che viene lamentata alla fine anche dall’opinione pubblica dopo determinate sentenze. La donna nolente o dolente passa sempre dalla parte del torto. Dalla parte della persona che ha istigato l’altra, come se le donne stesse chiamassero a loro le violenze e i reati. Assurdo pensarlo, ma a quanto pare per molti “giudici” sembra essere proprio così.

Il nuovo movimento #QuellaVoltaChe

Negli ultimi giorni si parla di sessismo in Italia anche su riviste internazionali come il The Guardian, in merito anche alla vicenda che coinvolge il figlio di Ignazio La Russa. Ciò che dovrebbe farci riflettere è che addirittura all’Estero è chiaro che la violenza contro le donne nel nostro paese non viene presa seriamente. Dicono che siamo indietro di decenni rispetto all’uguaglianza ed è vero. Per questo in Italia anche se molti non ne sono a conoscenza è nato l’equivalente del movimento #MeToo fondato da Giulia Blasi e chiamato #Quellavoltache.

Nuove organizzazioni stanno cercando di battersi per i diritti delle donne che in Italia vengono sempre messe più in discussione anche a causa di politici e di alte cariche politiche che fingono di schierarsi per poi promuovere tutt’altro. Una mancanza di rispetto verso le donne che ormai non stupisce più, tanto che è come se sfortunatamente ci fossimo abituati a tutto questo degrado.