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“La sfida all’aborto farmacologico”, ecco in Italia le uniche tre regioni che lo consentono in consultorio

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L’aborto farmacologico, una procedura medica efficace e forse meno “dolorosa” di un aborto chirurgico vero e proprio. In Italia, nonostante la legislazione abbia garantito la pratica fino alla nona settimana, scopriamo che come riporta 27esima ora del Corriere della Sera, soltanto 3 regioni su 20 mettono a disposizione nei consultori la possibilità di abortire farmacologicamente. Ciò cosa comporta? Ovviamente un’ostacolo non indifferente per le donne che hanno preso una decisione, che sfortunatamente non riesco a portare avanti in modo autonomo. Il problema principale rimane quindi che l’applicazione della legge sull’aborto viene di base lasciata alle singole regioni, ed è per questo che su tutto il territorio italiano gli approcci sono ben differenti da come dovrebbero invece essere.
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Le tre regioni che permettono l’aborto farmacologico

Toscana, Emilia Romagna e Lazio, queste sono le tre regioni che applicano per “filo e per segno” quella che è la legge Speranza per l’accesso all’aborto farmacologico. I dati che sono stati raccolti, sono stati diffusi da un rapporto di Medici del Mondo, secondo cui solo negli ultimi tre mesi del 2020 in Italia gli aborti farmacologici sono avvenuti per il 42%, mentre in altri paesi come l’Inghilterra parliamo di un ben 70% del totale. Il problema che emerge è che in Italia sono le prime tre regioni citate praticano aborto farmacologico, mentre le altre regioni fanno quel che vogliono.
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E’ stata inoltre promossa una campagna “The Impossibile Pill”, da Laura Formenti che ha reso noto come l’aborto farmacologico dal nord al sud d’Italia sia ancora un diritto tremendamente negato. Assurdo quindi pensare che un paese non possa mettersi in linea nel 2023 con le pratiche da adottare di fronte a temi così delicati, come assurdo pensare che se le regioni decidono di non assistere le donne aiutandole con l’aborto farmacologico semplicemente nulla accade, e si fa spallucce, girandoci dall’altro lato. Non è nuovo che regioni come le Marche si siano schierate contro e dove la percentuale di medici obiettori di coscienza è altissima, e probabilmente non c’è nemmeno bisogno di commentare una cosa simile, perché va da sè.

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La pratica dell’aborto farmacologico

Rispetto ad altri paesi inoltre l’Italia stessa ha posto moltissime condizioni, anzi restrizioni per l’aborto farmacologico, rendendo a prescindere la pratica molto difficoltosa. Qualche tempo fa inoltre vi avevamo parlato di una giovane ragazza americana che aveva condiviso tramite social il suo aborto farmacologico, con l’obiettivo di sensibilizzare e diffondere un argomento che non solo in Italia, alle volte sembra essere un tabù.
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Se l’assunzione della pillola può essere più efficace, immediata e meno dolorosa di un intervento chirurgico, in Italia dove le regioni non hanno predisposto nei consultori l’aborto farmacologico, le donne devono per forza recarsi in ospedale. Devono inoltre andarci svariate volte, quasi tre, con un’ultima visita di controllo, pratica che inevitabilmente porta ad uno stress fisico e psicologico. La seconda pillola prevista dopo la ivg, nelle tre regioni già citate, può anche essere assunta all’interno della propria abitazione entro 48 ore e non viene neanche richiesto un ulteriore controllo.

E’ fondamentale che il nostro paese compia passi rassicuranti e tempestivi per assicurare ad ogni donna un’accesso equo a queste pratiche abortive, ciò potrà avvenire soltanto tramite un impegno collettivo e imponendo l’uso della pillola in tutte le regioni nei consultori.